L’editore è un algoritmo (irresponsabile)

Questo post atipico è diviso in 3 parti: comincia con alcune considerazioni personali sui feed rss, c’è una breve presentazione di Nuzzel (come cos’è? devi leggere il post per scoprirlo) e termina con la traduzione dell’interessantissimo articolo “L’editore è un algoritmo” pubblicato sul Wall Street Journal qualche mese fa.

Potrebbero sembrare 3 tematiche diverse ma se osservi il monitor da più lontano potresti intravedere uno scenario.

The day the Reader died

Per molti anni Google Reader è stato il mio servizio targato “big G” preferito, era la prima pagina web che aprivo la mattina e molte volte l’ultima che chiudevo la sera. Se lavori anche tu in questo settore sai benissimo che restare aggiornati è molto importante.

Tuttavia il 13 marzo 2013 Google annunciò la chiusura di Reader, una decisione motivata dal fatto che il poco traffico presente sulla piattaforma non era più sufficiente a giustificarne il mantenimento.

Il servizio chiuse i battenti il 1° luglio 2013 e io, come molti altri, scelsi Feedly come alternativa.

Ho sempre pensato che la cosa migliore fosse gestire da me il flusso di informazioni, in questo senso il feed era l’ideale, bastava selezionare accuratamente le fonti e aspettare nuovi post. Tuttavia le fonti autorevoli non sempre sono costanti e le fonti costanti non sempre scrivono cose interessanti. Tutto molto umano, ma basando la mia in/formazione sui siti aggregati nel feed reader rischiavo di perdermi articoli interessanti pubblicati sugli altri siti.

Viceversa se dovessi basare la mia in/formazione sui link che escono da Facebook, sarei travolto da contenuti che non mi interessano. Diverso il caso di Twitter, dove cerco di seguire solo persone che postano link interessanti, qui la possibilità che articoli imperdibili arrivino a me è più alta, ma non siamo ancora all’optimum.

Alla fine arriva Nuzzel

Nuzzel è la soluzione che sto adottando da qualche mese a questa parte (in combinazione con Twitter e Pocket).

Nuzzel è un app e un sito che propone i post più interessanti in base alla popolarità che questi stanno riscuotendo nelle cerchie degli “amici” sui social. Si collega al tuo account Twitter, o Facebook, o Google + … e ti propone ciò che stanno condividendo maggiormente i tuoi “amici” oggi. Una volta che un contenuto raggiunge una determinata soglia di condivisione, Nuzzel ti notifica il post sul sito, nell’app, tramite notifica o con una mail.

Nuzzel è progettato per evitare che tu venga sovraccaricato di informazioni, puoi regolare Nuzzel in modo che le notizie ti arrivino solo dopo aver raggiunto 3 o 4 o 5 (e così via fino ad arrivare a 25) “voti”, con un valore di default che è 6. Il numero massimo di avvisi giornalieri predefinito è 5. Questi valori modesti ti mostrano come la pazienza degli utenti di Nuzzel è una priorità per il team di sviluppatori.

Per ora Nuzzel Inc. è una piccola realtà di sei persone, ma da quanto ho letto hanno come obiettivo quello di smarcarsi da Twitter e dagli altri social e riuscire a mettere in piedi un sistema di discovering di contenuti in target stand alone.

Ti consiglio di provarlo per un po’.

L’editore è un algoritmo, dal Wall Street Journal

Questo che segue è la traduzione di un articolo pubblicato sul Wall Street Journal qualche mese fa. Credo che spieghi molto bene la strategia dei social e delle media company basata sulla condivisione dei contenuti sulle proprie piattaforme. Buona lettura!

Le social media company stanno rapidamente diventando fornitori di notizie per molte persone in tutto il mondo. Le implicazioni di questa rivoluzione sono significative per capire l’ecosistema dell’informazione e la nostra democrazia.

Nel giro di pochi anni, il numero di statunitensi che si informano e recuperano informazioni (che è diverso da guardare i video dei gatti) da Facebook, Google, Apple e Twitter è aumentato in modo consistente. Negli Usa quattro adulti su dieci si informano su Facebook, e uno su dieci su Twitter: lo rivela il Pew Research Center. “Tra i Millennials”, scrivono i ricercatori del Pew, “Facebook è di gran lunga la fonte più diffusa per le notizie e le informazioni sul governo e sulla politica”.

Le media company stanno lavorando sodo per diventare i distributori di notizie dominanti. Gli Instant Articles di Facebook, che permettono alle narrazioni di storia di caricare più velocemente rispetto al passato, Apple ha lanciato Apple News, Google propone le AMP (Accelerated Mobile Pages), mentre Twitter ha i Moments.

Il cambiamento è profondo. Facebook ha implementato algoritmi che determineranno chi vede quali articoli del Washington Post. Due persone con interessi molti simili potrebbero ricevere news diverse, a seconda di quel che i server di Facebook ritengono sia migliore per ciascun lettore. Questo è un cambiamento straordinario da quando un editore di un quotidiano determinava cosa un lettore avrebbe visto sia sul cartaceo che sul sito web del quotidiano.

Mark Zuckerberg ha spiegato di recente: “Penso che la piattaforma sia il centro del nostro prodotto, che le persone utilizzano per condividere e sfruttare i media: ma noi non siamo una società di media”.
I funzionari con cui ho parlato a Google, ad Apple e a Twitter insistono similmente sul fatto che non fanno parte di aziende che producono notizie ma semplicemente forniscono contenuti che i loro algoritmi pensano che le persone vogliano o, nel caso di Facebook e Twitter, che gli amici o i follower degli utenti suggeriscono.

Questa posizione riflette lo storico ruolo delle società di Internet come distributori che forniscono informazioni attraverso ricerche o consigli. Inoltre, è conveniente dal punto di vista commerciale, in quanto permette loro di evitare alcuni problemi complicati, tra cui la diffamazione.

Tuttavia, nel momento in cui la tecnologia evolve, la posizione delle società tecnologiche per cui non sono organizzazioni che producono notizie diventa sempre più insostenibile. Semplicemente presentando gli articoli in modo differente, le società in questione influenzano in modo significativo la maniera di consumare le notizie. In più, stanno inserendosi, con le loro opinioni, sempre di più nel flusso di notizie. Sia Apple News che i Moments di Twitter richiedono una selezione attenta finalizzata a mettere in evidenza le storie importanti: è necessario un elemento di selezione editoriale. Tutti cercano di eliminare alcuni generi di pornografia e le terminologie che incitano all’odio, esercitando anche in questo modo un controllo editoriale.

Inevitabilmente, se la loro importanza e le loro ambizioni crescono, le società tecnologiche saranno indotte a fare di più. Per esempio, Facebook ha recentemente annunciato che avrebbe vietato le vendite private di armi sulla sua piattaforma. Per quanto possa trattarsi di una buona idea, nessuno aveva indicato la vendita di armi come il più preoccupante problema tra i molti post di Facebook. Piuttosto, la policy è scaturita dalle convinzioni del management.

In alternativa, si pensi alla lotta al terrorismo, dove è ancora più ovvia l’insostenibilità della tesi che fa riferimento a mere rete di distribuzione. Lo Stato Islamico e gli altri gruppi radicali sono diventati esperti nell’utilizzo dei social media per il reclutamento di adepti. Le società tecnologiche hanno reagito con misure che, pur essendo totalmente ragionevoli e responsabili, sembrano contraddire la loro posizione come semplici “tubi”. Twitter ha rimosso decine di migliaia di account che promuovevano lo Stato Islamico. Facebook elimina i post che manifestano sostegno ai terroristi o tollerano gli atti violenti. Sono stati anche concessi annunci gratuiti a coloro che manifestano dissenso verso i gruppi estremisti.

Si potrebbe sostenere che le imprese tecnologiche non sono aziende di news perché non hanno giornalisti. Tuttavia, il modello del XX secolo non si adatta realmente alle imprese moderne. Quel che è a disposizione delle società di social media è un tesoro ricco di informazioni relative a chiunque abbia uno smartphone o una connessione a Internet e, soprattutto, relative alle scelte di chiunque. Le informazioni che giungono tramite il data mining, così come gli umori dell’audience a proposito di temi particolari, sono già diventate rilevanti nei dibattiti presidenziali e nelle altre discussioni politiche. Google sta insegnando ai giornalisti come usare i suoi dati: è difficile immaginare che le società tecnologiche resisteranno ancora sfruttando la loro dote di informazioni rimanendo meri “tubi” in un mercato sempre più competitivo.

Nel momento in cui queste aziende entrano ulteriormente nell’arena delle news, sono chiamate a capire come adattare il proprio ruolo editoriale nella società americana e mondiale e come pensare a sé stesse in linea con gli obiettivi della società. Di certo una sfida fondamentale sarà quella di delineare come il loro imperativo finalizzato ai profitti e le richieste degli azionisti interagiranno con il loro ruolo di fornitori di informazioni.

Le aziende di media legacy hanno affrontato questo tema provando, con esiti differenti, a stabilire delle barriere tra i dipartimenti con responsabilità editoriali, quelli che si occupavano di notizie e quelli che si occupavano di pubblicità. Ciò diventerà sempre più difficile in un’epoca in cui gli algoritmi – e non gli editori – controllano spesso il contenuto e gli annunci controllano i consumi di una persona.

Una cittadinanza informata dipende da fonti di notizie solide. Il modo in cui le imprese tecnologiche si posizionano in qualità di fornitori di notizie, e le scelte che compiono come risultato, avranno un effetto non solo sulle imprese stesse, ma anche sulla qualità della nostra democrazia.

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