Father John Misty, I Love You, Honeybear

Father John Misty, I Love You, Honeybear

A proposito di musica indie, da qualche settimana mi capita di assistere all’epico confronto fra due fazioni di fede avversa. Da una parte ci sono i fedeli che attendono, in religiosa castità musicale, il nuovo disco di sua santità Sufjan Stevens; dall’altra invece chi si è convertito a Father John Misty, mistico (di nome e di fatto) songwriter statunitense.

Joshua Tillman, questo il suo vero nome, è nato e cresciuto alla periferia (sociale e urbana) del Washington DC e solo nel 2012 è trasceso nelle cantautorali vesti di Father John Misty. Prima di quell’anno solo tanta gavetta e demo autoprodotti, fino a conoscere la “ribalta” come spalla di Damien Jurado. Nel 2008 poi entra a far parte della lineup dei Fleet Foxes, nelle insolite vesti di batterista, esperienza che gli apre le porte della Sub Pop records, sua attuale casa discografica.
Dal Novembre 2014, dopo la sua performance al Late Show di David Letterman, è un personaggio.

I Love You, Honeybear è il suo secondo disco, stilisticamente ben rappresenta i canoni del folk statunitense di stampo indie. Voce pulita e profonda, chitarre acustiche, fingerpicking, piano, synth quanto basta e arrangiamenti talvolta magniloquenti.
Rispetto al precedente questo è un disco meno diretto e più “raffinato”, soprattutto negli arrangiamenti. Si potrebbe definire il disco della maturità, ma senza quella “puzza sotto il naso” che spesso porta con se quest’etichetta.
Dal punto di vista delle tematiche I Love You, Honeybear è stato definito dall’autore un concept su se stesso, la cosa buffa è che è dedicato a sua moglie, “l’orsacchiotto di miele” sarebbe proprio lei: Emma.

La scrittura ispirata di Tillman è contraddistinta da ironia e sarcasmo, quest’ultimo spesso si rivolge all’oppressiva educazione spirituale impartitagli dai genitori (“usless education“). Il suo rapporto con la fede comunque è molto complesso e radicato, tanto che in gioventù prese in considerazione la vocazione di predicatore. Pur dovendo gestire un’intelligenza così complessa, arguta e ironica, la sua cifra artistica è profonda e sincera, non c’è traccia di cinismo. Il suo romanticismo puro e indifeso ricorda Nick Drake.

Fra i pezzi migliori sicuramente Bored In The USA una ballata sarcastica, piano-centrica, in cui canta greve le storture della società americana, i versi finali vengono alternati a (finte) risate di un ipotetico pubblico, uno scherno a cui risponde facendo spallucce.

True Affection è il pezzo elettronico che potrebbe chiudere perfettamente un film qualsiasi della Coppola. Il pezzo è uno sfogo su quella parte di società ossessionata dai social network e sulla frustrazione di “provare a corteggiare qualcuno con sms ed email, cercando invano di creare una connessione reale“.

Ma soprattutto Holy Shit, un gran pezzo che gira su chitarra acustica e piano, una riflessione sull’amore e sul matrimonio presa da un punto di vista esistenziale.

I Love You, Honeybear è un segreto ben custodito, che consiglio a chi ama Nick Drake, Jens Lekman e a chi sta aspettando Sufjan Stevens.

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