Il Brigante Grossi e la sua miserabile banda, di Michele Petrucci

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La valle del Metauro.
Non so che importanza ha oggi quel rigagnolo che nasce sull’appennino marchigiano e si spegne nell’adriatico all’altezza di Fano. Se ha davvero importanza per qualcuno, o a quale pagina dei libri di geografia viene menzionato o se almeno esiste una voce su Wikipedia.
Eppure lì sono successe almeno 3 cose incredibili.

Ad esempio i Romani l’avevano scelta come punto di riferimento per travalicare l’appennino. La via Flaminia sin dal 220 a.C. congiunge Roma a Fano e Fano a Rimini, attraversando la Gola del Furlo prima e la valle del Metauro poi. Era dunque una valle strategica, perché chi decideva di scendere in italia e muovere contro Roma, doveva per forza passare per Rimini (il collo di bottiglia) e intraprendere la Flaminia.
Non a caso una delle più grandi battaglie romane si svolse proprio lì: la battaglia del Metauro nel 207 a.C. contro Asdrubale fratello di Annibale, che vinto fu poi decapitato.

Fra i boschi e le colline della valle del Metauro questi racconti vivono e rivivono nelle parole dei nonni che le tramandano ai nipoti e quasi tutte le storie sono condite da reperti generazionali ben custoditi (frecce, gladi, monete …), come dire: “vedi che è vero”. L’altra meravigliosa storia che riempie la fantasia dei bambini, trasformandosi in paura man mano che si avvicina l’ora della nanna è quella del Brigante Grossi (e della sua miserabile banda).

“Nell’Italia risorgimentale, in un clima di cambiamenti e malcontento generale per le promesse tradite, si muove la banda del brigante Grossi che da voce al dissenso mettendo a segno azioni contro il nuovo Stato e le forze dell’ordine”, secondo la propria natura di violenti ma con un proprio codice d’onore.

Il Brigante Grossi e la sua miserabile banda è “una cronaca disegnata” di pochi anni di storia marchigiana che hanno prodotto un eco ancora persistente. La graphic novel di Michele Petrucci racconta la storia di un perdente (in credito con la storia), ammirato dalla gente per il suo coraggio, e dei suoi compari, un gruppo di uomini che abbandonano la vita tranquilla nei campi per sposare la lotta all’oppressore.
Sullo sfondo la natura, così presente e inesorabile, come una divinità insensibile. Il marrone dell’autunno, il bianco della neve e il verde dei campi sono i colori dominanti

Grossi e i suoi rinnegati rimpiangevano i tempi in cui quelle terre erano una marca del papato, rinnegando così l’unità perseguita dai Sabaudi. Probabilmente per convenienza più che per convinzione, visto che è risaputo che il vero marchigiano fa davvero sul serio quando bestemmia in italiano, abbandonando momentaneamente l’intercalare blasfemo recitato in dialetto. Del resto espressioni come “meglio un morto in casa che un marchigiano alla porta” sono ancora frequenti in Romagna, visto che i marchigiani riscuotevano le imposte per conto del Papa.

Ah, la terza cosa incredibile: lì ci sono nato io.

Post scriptum (opzionale, che se no poi mi dilungo troppo)
A Michele va tutta la mia riconoscenza, per aver recuperato e messo su carta le immagini, i ricordi e le parole che ormai sedimentavano sul fondo della mia memoria di bambino. Con che passione ascoltavo quelle storie! Ogni adulto del mio paese (Isola di Fano) sapeva che con quei discorsi mi avrebbe catturato (almeno per qualche secondo!).
A te che sei arrivato fin qui chiedo perdono, per la superbia della “terza cosa incredibile”, del resto sono sicuro che ognuno ha ricordi di storie incredibili legate ai propri natali, forse perché la meraviglia sta nell’attenzione con cui i piccoli sanno ascoltare storie che mai dimenticheranno.

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